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Interviste

Luciano Fasolo: quando l’età non ferma la passione

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Luciano è un veterano del “travelling” in solitaria.

Un profilo riscontrabile in molti dei nostri visitatori… se non fosse per l’età.
Luciano ha compiuto 71 anni; lo scorso anno, partendo da Padova, è arrivato a Vladivostok. E non ha nessuna intenzione di lasciare la sella per il divano di casa.

“Ho ancora molto da scoprire in motocicletta!” ha puntualizzato quando ci siamo incontrati. Non abbiamo dubbi sulla sua sconfinata voglia di avventura.
Luciano, classe 1948, è veneto; abita – quando non è in viaggio – a Rovolon, paesino in provincia di Padova. Il nostro primo contatto con lui risale al Motor Bike Expo 2016, grazie ad un foglio bianco formato A4, fissato con lo scotch sopra il pilastro di uno dei padiglioni della fiera. Sul foglio, scritto in pennarello, c’era questa frase: “cerco compagno di viaggio per raid Padova – Pechino”. A seguire un numero di cellulare. Quell’appello meritava un approfondimento… al quale purtroppo non abbiamo dato seguito in tempi brevi. Solo recentemente abbiamo saputo che Luciano, non avendo trovato nessun compagno affidabile, lo scorso anno ha deciso di completare le incombenze burocratiche, caricare la moto e partire. Da solo. Come aveva già fatto in altre occasioni.
Queste scelte si fanno solitamente a 30 /40 anni o giù di li. Magari anche con qualche anno in più sulle spalle ma difficilmente da soli. A quanto pare Luciano non ha avuto il minimo dubbio all’idea di affrontare un percorso massacrante, anche per un giovane, oltretutto in sella a una – fidata ma anche datata – Moto Guzzi SP1000 del 1983.
Com’è andata? Bene! Il nostro ardimentoso traveller è tornato a casa sano e salvo… pronto a girare pagina, quella dell’Atlante Geografico naturalmente. Lo abbiamo incontrato e intervistato all’edizione 2020 del Motor Bike Expo.
Ecco che cosa ci ha raccontato della sua vita motociclistica.

Luciano, quando sei salito in sella per la prima volta?

A 8 anni appena compiuti. Era il 1956, ricordo benissimo quel momento, mi trovavo con mio padre a un raduno moto organizzato dalla Bianchi. In queste occasioni era consuetudine fare una dimostrazione di guida coinvolgendo il più giovane e il più vecchio dei partecipanti; il giovane ero io. Mi hanno messo in sella a una Bianchina 125 cc. e alla fine mi hanno premiato con un coppa che mi superava in altezza.

Eri davvero giovanissimo. Questa esperienza che cosa ti ha lasciato?

Beh la voglia di avere una moto tutta mia con la quale girare il mondo. Ho dovuto però attendere fino al 1968, quando con il mio amico Franco e due Moto Guzzi Lodola GT 235 abbiamo percorso 4.600 km partendo da Rovolon, per toccare Svizzera, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Germania, Austria e ritorno.
L’anno successivo, con le stesse moto abbiamo pianificato un giro più impegnativo, per quegli anni, che ci ha portato in Jugoslavia, Ungheria, Romania… fino al Mar Nero. Quasi 6.000 km. Questo secondo viaggio mi fece capire che se volevo spingermi più lontano avrei dovuto puntare su di una “compagna” più potente e robusta. Rimasi fedele alla marca, la Moto Guzzi, e scelsi una V7 700, la prima venduta a Padova. La sostutuii nel 1983 con la SP 1000, l’ammiraglia della Casa di Mandello! 

Quando hai portato le ruote fuori dai confini europei?

Per diversi anni ho provato e riprovato a ottenere un visto per entrare in moto in Unione Sovietica, ma senza alcun risultato causa le restrizioni turistiche e la grande burocrazia.
Riuscii a procurarmi due visti soltanto nel 1992, quando alla mia tenacia si aggiunsero i cambiamenti politici che tutti conosciamo. Avrei potuto viaggiare all’interno del “continente Russia” come e dove volevo? Era l’ora di scoprirlo! Partito da Padova con l’amico Luca, mi ritrovai a Mosca dopo tre giorni, toccando in seguito San Pietroburgo, Estonia, Lettonia e Lituania. 10.000 km in una ventina di giorni. Diciamo che ce la siamo presa un po’ comoda quella volta. Una cosa che mi piace ricordare di Mosca è il giorno che ho passato in prigione per essermi ostinato a scattare foto nella Piazza Rossa.

Se non ricordiamo male, dopo quel viaggio la tua vita ha preso un’altra direzione. E così?

Assolutamente! Una lunghissima sosta causata da un impegno di lavoro inaspettato, poi diventato una grande passione: ereditai una piccola tenuta di vino nella zona dei Colli Euganei e l’idea di diventare un produttore mi stimolò al punto tale da mettere in pausa per oltre vent’anni la voglia di viaggiare​​​​.

E poi, come sei tornato al tuo primo amore?

Di anno in anno mi ripromettevo di tornare in sella per una sfida epica. Nel 2010 la mia moto rimase sommersa da un’alluvione. Questo fu il primo segnale. La restaurai e la rimisi a nuovo. Ripristinato “il contatto” mi ci vollero altri 3 anni per farmi decidere di chiudere l’attività e riprendere la strada.
Nel 2014 decisi che era giunto il momento: spedii la Guzzi via nave a New York e da lì attraversai il Continente americano fino a San Francisco, percorrendo gran parte della mitica Route 66.

Quando la tua meta diventò Pechino?

Nel 2016. Avevo già iniziato ad apprezzare i raid in solitario ma, vista anche l’età, decisi di cercarmi un compagno. Come ben sapete provai anche a tappezzare la fiera di Verona di manifestini “cercasi compagno… ecc” e con mio sommo stupore il compagno lo trovai. La scelta purtroppo si rivelò sbagliata: due mesi prima della partenza si ritirò… facendomi piombare in un profondo stato di depressione. Momento che ho superato grazie alla mia famiglia, che mi ha praticamente costretto a fare un viaggio in moto.
Da solo arrivai fino a Capo Nord, per un totale di 10.500 km. Altri 11.000 km li accumulai due anni dopo, il 2018, attraversando Marocco, Spagna, Portogallo e Francia. L’idea di attraversare l’Asia restava ferma in testa come un macigno. Dovevo farlo.
Nel 2019 decisi di realizzare il mio sogno rimasto nel cassetto, che nel frattempo aveva cambiato meta: Vladivostok, in Siberia. Città che ho raggiunto, sempre partendo da Padova, passando per Kiev, Mosca, Novosibirsk, Irkurtz, entrando in Mongolia fino alla capitale Ulan Bator, tornando a Cita e Kabarovsk attraversando tutta la Siberia e costeggiando la Transiberiana per 14.500 km.
Ad accompagnarmi nel mio viaggio in solitaria è stata la stessa Moto Guzzi SP 1000 del 1983.

Ci racconti un paio di aneddoti legati a questo viaggio?

Beh, mi è davvero capitato di tutto. Potrei raccontare aneddoti per ore.
Mi trovavo nella Siberia Orientale, quando inaspettatamente venni chiamato da Radio RAI 1 per un’intervista in diretta sul programma notturno “TRA POCO IN EDICOLA” condotto da Stefano Misurati. Per qualche istante pensai a uno scherzo: La RAI si stava interessata a me? Invece era tutto vero. Mi venne chiesto di trovarmi un posto con un buon segnale internet, per una diretta da realizzare l’indomani dalle 0.30-1 ora locale Russa + 7 ore locali.
Mi organizzai per fare tappa a Cità, una bella cittadina di circa 350.000 abitanti con tanti e buoni servizi. Puntualmente fui richiamato e non posso nascondere l’emozione di una diretta radiofonica a oltre 10.000 km da casa.
La prima disavventura mi è capitata a soli 3 giorni dalla partenza: arrivo alla dogana russa sotto un nubifragio da paura. Mi fanno parcheggiare sotto una bassa tettoia in lamiera che mi fa sentire al fronte, sotto il fuoco di mitraglie tanto era il rumore. Un poliziotto, mi ritira i documenti e mi consegna 4 fogli da compilare nei minimi dettagli (era il certificato di esportazione temporanea della moto). Faccio notare che è scritto in russo e lui mi risponde che i fogli in doppia lingua (russo-inglese) sono terminati.
Nonostante tutto il mio impegno, dopo quattro tentativi andati male decido di chiedere aiuto al doganiere. Lui mi guarda serio, prende anche il cellulare e con Google Traslator prova con me a compilare il form. La cosa dura ben 4 ore! Alla fine mi riconsegna il malloppo di documenti e mi saluta. Vado alla moto, riordino il tutto e mi accorgo di aver lasciato il cellulare nell’ufficio. Saranno passati al massimo 5 minuti. Ritorno sul posto e vado direttamente al punto della scrivania dov’ero seduto… ma il mio smartphone non c’è. Guardo negli occhi il doganiere e chiedo “sorry my phone…” e lui risponde stupito nema phone…nema phone….
Ma come, l’abbiamo usato assieme fino a pochi minuti prima! Insisto a voce alta ma niente da fare, il cellulare è sparito. Minaccio di chiamare la polizia e lui mi fa capire che “è lui la polizia”. Non mi restava che uscire sbattendo la porta e cercare di calmarmi. Lascio la dogana alle 17.00, sempre sotto una pioggia battente, e metto in stand-by il problema: devo trovare un posto dove dormire. Purtroppo la zona appare totalmente deserta, priva di vita. Davanti agli occhi solo campagna, diluvio e nebbia. Senza il supporto dello smartphone non so praticamente dove andare e ad un certo punto, pur di fermare una delle vetture o camion che transitano posteggio la moto in mezzo alla strada.
Un’auto rallenta e l’anziano alla guida sentendomi gridare “Pozhalusta hotel… hotel” mi indica di proseguire per 7 km e poi girare a destra, spiegandomi che avrei trovato qualcosa. Le indicazioni erano giuste e portavano a un grande parco con una decina di Chalet in legno rustico costruiti tutt’intorno alla riva di un laghetto. Ne affitto uno dopo aver percorso la strada di accesso, lunga circa 200 metri e completamente allagata, con l’acqua che mi arrivava alle ginocchia. Avevo i brividi, probabilmente un po’ di febbre. Ma torniamo al cellulare… il mattino successivo, alle 5.00 percorro in sella ma a piedi nudi il sentiero d’ingresso (ancora allagato), per non far entrare acqua negli stivali, e poi parto in direzione MOSCA. Mi serviva un nuovo smartphone. In città ho speso tempo in ben 5 negozi prima di trovare quello specializzato, capace di recuperarmi i contatti, far funzionare internet, ecc. Un’operazione durata quasi sei ore. Alla ripartenza ero sfinito ma contento di aver risolto il problema. Avevo una nuova SIM, con numero russo, ma WhatsApp e Facebook funzionavano. Il segnale di rete fino al Lago Baikal è sempre stato buono, permettendomi di rimanere in contatto con la famiglie e gli amici più stretti.

Non possiamo esimerci dal chiederti come sia andata dal punto di vista fisico…

Tutti noi siamo circondati da persone pronte a dare sagge raccomandazioni. Del tipo: ma sei sicuro di farcela? La Siberia è la Siberia; e se ti capita qualcosa? Non hai più vent'anni…
Va bene. E’ giusto far emergere le possibili complicazioni…. ma questo non deve diventare un tam tam continuo. Fortunatamente la mia comprovata testardaggine ha avuto la meglio. Dentro di me una voce supplicava di non mollare, di resistere e di dare seguito alla promessa che avevo fatto con me stesso!
L’esperienza motociclistica cinquantennale, con ben 56 Stati attraversati e oltre 300.000 km percorsi, mi rassicurava dicendomi che anche questa volta sentendo il rombo del mio amato motore sarei improvvisamente risorto, e fu esattamente così. Più chilometri percorrevo e più mi sentivo bene e così tutto il corpo entrava in sintonia con il cervello, trasmettendomi forza e piacevolezza e facendomi arrivare a Budapest quasi senza accorgermi, con più di 700 km sulle spalle.
Fin da subito ho sentito aumentare la forma fisica e mentale facendo scattare la molla dell’adrenalina che trasforma la fatica in piacere sostenendomi per tutto il viaggio di andata. Tanta era la forza acquisita che avrei potuto affrontare con serenità anche quello di ritorno.

Quali sono i tuoi obiettivi futuri? Non credo che tu abbia intenzione di riattaccare la moto al chiodo vero?

“Nel 2014, quando decisi di riprendere a viaggiare, mi venne l’idea di associare i miei raid a un progetto di beneficenza che ho chiamato “IN MOTO PER LA VITA”. L’obiettivo è principalmente la raccolta fondi per il Reparto Prematuri di Terapia Intensiva Neonatale della Pediatria di Padova.
Attualmente ho già consegnato nelle casse della Fondazione Salus Pueri di Padova oltre 25.000 euro, serviti a realizzare la “Stanza per i Genitori” attrezzata con apposite poltrone chiamate “Poltrone Marsupio”: accolgono la mamma sdraiata con il neonato appoggiato sul petto trasmettendo il calore corporeo e fa sentire i battiti del cuore, determinanti per la sopravivenza di un prematuro”.

C’è un nuovo viaggio nell’aria? Sempre in solitaria?

Visto che mi sento bene, non c’è ragione di smettere. Sto pensando a qualcosa d’importante con cui magari celebrare il traguardo dei 75 anni! L’idea che mi frulla in testa mi porta in India, attraverso Turchia, Iran e Pakistan. Magari questa volta con un ritmo più rilassato… vista la giovane età che avanza.
Bisogna comunque essere realisti, tre anni ancora non sono pochi per un raid altrettanto impegnativo, meglio non perdere tempo. Se non fosse arrivato il Corona Virus l’avrei programmarlo addirittura per quest’anno. “Incrociamo le dita” per il prossimo.

Un lungo viaggio in solitaria prevede una preparazione fisica e spirituale.

Qual è il consiglio migliore che ti sentiresti di dare a un motociclista over 70 che voglia provarci?

E’ impegnativo consigliare un coetaneo motociclista. Pensare di provarci è facile, ma quello che serve è la convinzione di potercela fare. E poi dipende dal tipo di viaggio. Percorrere le strade della “comoda” Europa è ben distante dall’affrontare un vero e proprio raid avventuroso.
Troppi sono gli imprevisti, a volte anche molto difficili. Bisogna essere sicuri dei propri nervi, se ti prende il panico sei nei pasticci. In ogni caso per il vero motociclista vale sempre il detto “volere è potere”.
Il consiglio che posso dare è quello di valutare molto bene – in base all’esperienza di motociclista e viaggiatore – i propri limiti. Se non si è abituati a partire da soli meglio farlo in compagnia. E ancora serve una buona conoscenza della lingua inglese, una moto adatta e comoda e la capacità di auto convincersi che…
“andrà tutto Bene!