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Beyond The Road Viaggio Como – Siberia

Viaggio in moto da Como alla Siberia

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Dal diario di Francesca e Tommaso

Monaco, Praga e Breslavia

30 giugno 2014

Un acquazzone ha battezzato l’incipit della nostra avventura. A 3 giorni dalla partenza, non ha ancora smesso di piovere. Maciniamo km di strade ancora bellissime, su 2 ruote e sotto l’acqua. Indossiamo più strati di una cipolla, e la sera dobbiamo stendere e phonare buona parte di quello che portiamo addosso. Ma a noi la pioggia piace, pazzamente. Ci fa sentire più vicini. E profuma, intensamente e in modo inebriante. Scivola sulla visiera del casco sfumando i colori e scroscia addosso, facendo venire una gran voglia di cantare. Perché, si sa, si canta molto meglio sotto la pioggia. 3 giorni appena, ma già 5 Stati attraversati. La nostra prima tappa è stata Monaco dove Ivan, uno dei migliori amici di Tommaso, ci ha ospitato facendoci sentire a casa e ci ha fatto da Cicerone fino all’HB, la più famosa birreria della città. Immaginate centinaia di persone, sedute intorno a enormi tavoli di legno, bere boccali di birra tra brindisi, canti, follia e allegria. Io che sono astemia ho brindato con il succo di mela.

La sera rientrando per dormire ci siamo trovati a camminare in un parco tra decine di conigli, e solo la stanchezza mi ha convinta ad abbandonare l’idea di srotolare il mio sacco a pelo proprio lì. Il giorno dopo abbiamo raggiunto Praga, dove la pioggia tesseva fili di luce tra le vie fiabesche. Davanti alla torre dell’orologio un ragazzo faceva bolle di sapone enormi, che decine di bambini cercavano di catturare. Lasciata la Repubblica Ceca siamo entrati in Polonia, attraverso boschi dove – non ho dubbi – vivono gnomi con cappelli rosso lampone. Le foreste di pini si alternano a campi di un verde brillante, con rari e timidi alberelli. Siamo a Breslavia ora, davanti alla grande stazione dei treni. La nostra moto riposa serena davanti all’hotel, e la ragazza alla reception ogni tanto la controlla, per far star tranquillo Tommaso. Io so che nessuno oserà toccarla, perché di passaggio dai boschi ho chiesto agli gnomi di fare la guardia alla Regina.

Ospedale

20 luglio 2014

l motociclista d’avventura non smette mai di essere un motociclista d’avventura. Nemmeno se il suo viaggio su 2 ruote viene interrotto da un incidente e si trova in un letto di ospedale senza la sua moto.
 Il motociclista d’avventura in ospedale si fa notare, perché:
…guarda l’infermiera e le dice: “Fammi il pieno di antidolorifico”;
…passa mezza giornata ad ascoltare il rombo dei motori che si sentono dalla finestra e ad ogni passaggio di 2 ruote le sue mani si muovono come a dare gas;
…non sa stare senza moto, e dal letto dell’ospedale chiama tutti gli annunci che lo ispirano dicendo: “Sì sì, vorrei venire a vedere la moto, mi interessa molto, ma sa, magari non riesco proprio oggi, ho giusto un paio di problemi a muovermi”;
…quando nessuno lo guarda, gioca con un modellino di moto che gli hanno portato in regalo e fa anche “Rrrrrrrrroooooommmmm”;
…non si arrende all’immobilità, e cerca di convincere le infermiere che può andare in bagno da solo, strisciando sul pavimento e facendo forza sui suoi gomiti sbucciati;
…studia il percorso letto-bagno, valuta le pendenze e il consumo energetico, decide il tragitto divano/tavolino e sa che dal divano deve mandare la coordinata GPS;
…diffonde notizie false e tendenziose sulla sua dimissione, tanto che le infermiere vengono e gli dicono: “Ho sentito che oggi esci”, peccato che l’hanno sentito dal motociclista stesso;
…gli scende una lacrimuccia quando vede la sua moto ridotta a una lattina di coca cola schiacciata, ma escogita piani per farla risorgere anche a distanza.

Varsavia

5 luglio 2014

La pioggia batte sui vetri con insistenza, come se volesse richiamare l’attenzione di chi ha trovato riparo all’asciutto. Guardo le gocce d’acqua rincorrersi sulla finestra, mentre Germano fissa la laguna, invaghito di un cigno che fluttua sulle increspature grigie. Cosa ci facciamo in mezzo a una laguna? E chi è Germano? A Breslavia, dopo la notte in cui la nostra Africa ha dormito in strada e ho bisbigliato agli gnomi di fare da guardiani alla Regina, al mattino abbiamo trovato sul cruscotto un piccolo gufo di peluche, ribattezzato da noi Germano. Non sappiamo come sia finito lì, forse il dono di un passante che ha voluto augurarci buona fortuna, forse un inviato di qualche mondo invisibile. Germano ora viaggia con noi ed è parte della nostra storia. Dopo aver caricato la moto e trovato un posticino confortevole per il nuovo passeggero, partiamo per Varsavia. Un raggio di sole coraggioso illumina la strada, ma subito nuvole prepotenti stendono una coltre spessa su di noi. Non importa, perché la luce grigia del cielo è perforata dal colore brillante dei fiori. L’anima della Polonia è delicata gentilezza, che si manifesta nei suoi fiori.

Fiori ovunque: sui lampioni delle città, per dare un profumo alla luce; sulle tante croci di Cristo sui cigli delle strade, per rendere la morte del Signore dolce; sui tavolini dei ristoranti nelle piazze, dove il rosso dei gerani si confonde con le note dei suonatori ambulanti; infine i miei preferiti, i fiori che vecchine piccine vendono agli angoli delle vie, in mazzolini arcobaleno. Donne bambine, perse in abiti troppo ampi. Arriviamo a Varsavia dopo tanti km e altra pioggia, e restiamo incantati da un’altra città fiabesca, che la leggenda vuole nata dall’amore tra un polacco e una sirena. La gente cammina tra le vie ciottolate, un cocchiere passa accanto alla statua della sirena e il frinire del cavallo nero si perde nella luce delle prime stelle. Restiamo seduti su una panchina a respirare la sera, fino a quando si fa tardi e rientriamo in albergo. Germano dorme appollaiato nel mio casco, l’Africa riposa in un garage e noi possiamo dire buona notte alla Polonia. Il giorno dopo ci alziamo riposati e pronti per un nuovo Paese del nostro itinerario, la Lituania. La moto scodinzola sotto il primo cielo azzurro dall’inizio del viaggio, e corre scintillante lasciandosi alle spalle le ultime briciole di nuvole. La strada è un fiume di asfalto che scorre tra foreste immacolate, che percorriamo rapidi.

Vilnius e Rezekne

L’emozione di viaggiare finalmente sotto un sole generoso e di potersi immergere nelle infinite sfumature di verde ci distrae, e dopo pochi km ci accorgiamo di essere alla frontiera con la Bielorussia. Un paese da vedere, certo, se solo avessimo il visto. Arriviamo davanti ai funzionari di frontiera e Tommaso chiede: Bielorussia, vero? Gli viene risposto: certo. Allora Tommaso, con aria affranta, dice: ah, abbiamo sbagliato. Stavamo cercando la Lituania. I funzionari increduli hanno pensato stessimo scherzando. Quando poi, con fierezza, Tommaso ha mostrato il nostro itinerario, ci hanno chiesto se davvero pensavamo di andare fino in Mongolia. Abbiamo fatto dietrofront mentre ancora ridevano. Dopo poche ore abbiamo raggiunto Vilnius, dove ci siamo mischiati alla folla riunita per ascoltare un concerto di musica tradizionale nella piazza principale. La mattina successiva partiamo rilassati, sapendo che ci attende una tappa breve, verso Rezekne, in Lettonia, una piccola città di confine con la Russia. Vogliamo dormire lì, così da poter essere già quasi alla dogana russa il giorno dopo. Viaggiamo tra interminabili foreste di conifere, sotto un cielo indeciso, dove cicogne leggere disegnano cerchi perfetti. L’aria fredda ci aiuta a combattere la stanchezza e a restare vigili. Arriviamo a Rezekne e cerchiamo l’hotel. Il navigatore vuole guidarci a 30 km dalla città, in aperta campagna, e restiamo perplessi.

Parcheggiamo davanti a un supermercato e chiediamo a un ragazzo di indicarci la direzione. Purtroppo il nostro albergo è davvero a 30 km dalla città. Ci rimettiamo in sella, e ci tuffiamo in una campagna bucolica. Dopo 30 km, abbiamo visto solo campi. Iniziamo a temere di aver preso un granchio, ma un ragazzo ci dice che il posto si trova avanti, molto più avanti. Se abbiamo scelto un albergo sperduto, pensiamo, deve esserci qualcosa da scoprire. Altri 10 km, e riconosciamo la facciata della struttura nella foto della prenotazione dell’hotel. Siamo in mezzo ad una laguna. Scendiamo dalla moto, e un vecchio sorridente ci viene incontro con delle chiavi. Ci accompagna all’interno di una casa, che scopriamo essere un centro di preservazione del parco naturale usato anche come residenza turistica. Hanno solo 2 stanze, e noi siamo gli unici, a parte il guardiano e un pescatore che sonnecchia su un piccolo molo di legno. La casa è fatta quasi interamente di grandi vetrate e da ogni lato si può vedere la laguna con i suoi canneti e riflessi. È il più bel posto che abbiamo visto fino ad ora.

Tornando a casa

28 luglio 2014

Il motociclista d’avventura esulta, perché finalmente lascia l’ospedale. Esce dal reparto su una sedia a rotelle, incitando l’infermiere a dare gas, e respira l’aria umida del parcheggio come se fosse in cima al Monte Bianco. Si sente libero, si sente coraggioso. Cerca la sua moto, poi ricorda che la sua Africhetta è ancora nel garage di un amico in Russia, a troppi km di distanza, ridotta a una lattina schiacciata negli Urali. Per la prima volta dopo anni, il motociclista d’avventura è senza moto. Questa volta, si è fatto male davvero. Non è colpa sua, aveva preso tutte le precauzioni del caso, guidava a velocità moderata, era attento, non prendeva rischi. Forse aveva un appuntamento col destino, perché ha evitato la prima macchina che gli è venuta addosso, ma non la seconda, che ha distrutto la sua Africa, le sue vertebre, e il suo sogno. Quando più si è sentito libero, sulla sua moto, col vento in faccia, amico di ogni persona, di ogni albero, di ogni strada, innamorato della vita che lo stava benedicendo con giornate intense come vite intere, è caduto. Ma il motociclista d’avventura sa che la vita inimitabile, in fondo, è dentro di noi. Che le ossa guariscono, la moto si aggiusta, gli amici conosciuti lungo la strada restano, altri viaggi verranno sognati, programmati e vissuti, km dopo km, senza paura. È solo una pausa. E mentre il motociclista d’avventura pensa a tutte queste cose, il suo nipotino si avvicina a cavallo di una moto giocattolo, e timido dice: “Zio, se vuoi fino a quando non hai la tua moto puoi usare la mia”.

I protagonisti

Francesca e Tommaso

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