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Tappa 2

Mongolia – Giappone

Seconda tappa dalla Mongolia al Giappone

Great Venture
Great Venture

Giunone, il nome della mia moto, ha sempre avuto come me, il desiderio di addentrarsi oltre, pur consapevole della stazza differente, se pur adattata, a territori non proprio lineari.

Lasciata la capitale Ulan Bator, la strada è comparsa abbastanza buona. La Cina si sentiva vicina, anche se, quello stadio di solitudine nei paesaggi era ed è prettamente mongolo. Arrivata alla frontiera che mi avrebbe permesso di entrare alla prima città della Cina, Erlian, la polizia cinese mi ha chiesto con cortesia di ritornare in Mongolia, sono stati necessari alcuni giorni di attesa nell’ultima città della Mongolia Zamiin-Uud, e lunghe ed estenuanti contrattazioni con l’agenzia cinese, per poter avere autorizzazione ad entrare con una patente temporanea ed una nuova targa.

A quel punto, consapevole della dogana molto ferrea in Cina, avevo regalato il mio interessante coltello da difesa, che portavo con me nella tasca laterale della giacca, ad un proprietario di albergo a Zamiin-Uud, in cambio di sconto sul parcheggio della mia moto, che poi per sua avidità non ha mai attuato. Invece, una volta “pagato” l’accesso alla frontiera cinese, i miei bagagli non sono stati nemmeno perquisiti, come se avessi tutto in regola e per questo il diritto di accedere all’Asia più interna.
l’Inner Mongolia, e il tratto fino ad Ulanquab era molto freddo, e piano piano sembrava tutto popolarsi di vita, di costruzioni e di commerci.
 
Le regole da rispettare per guidare in Cina sono di avere una persona di origine cinese come guida, a cui dover pagare vitto e  alloggio; inoltre non avrei dovuto per nessun motivo utilizzare le autostrade, o strade veloci a pagamento (perché in uso solo ad auto) e di non entrare nel terzo anello dalla città di Pechino. Ma cosa ancora più inspiegabile era il rifornimento di carburante: avrei potuto farlo solo ad una distanza di cento metri dalla pompa della stazione di servizio. La pompa elargiva benzina in una tanica, e dalla tanica poi, avrei potuto versarla nel mio serbatoio. Sembrava una questione di sicurezza, ma con il passare dei rifornimenti, la supposizione era nettamente errata. Pare che l’ostacolo serviva ad incentivare l’acquisto di veicoli elettrici, al punto da non renderti pratico il rifornimento indiretto.

I guidatori cinesi incontrati lungo il percorso, nelle strade periferiche, erano in gran numero mezzi di trasporto merci, come camion e autoarticolati pesanti, perché anche per molti di loro è vietato l’accesso alle autostrade. La guida di questi ultimi era estremamente pericolosa, e l’impianto di illuminazione dei veicoli completamente fuori legge. In rare occasioni ho guidato di notte, e per questo programmavo partenze di mattina presto.

Datong e Laiyuan, città bellissime cariche di una storia millenaria, hanno proceduto l’arrivo a Pechino. A Pechino ho anche fatto una presentazione del viaggio intrapreso, all’AGIC (Associazione Giovani Italiani in Cina) la quale ha messo calore e quasi un punto di rilassamento rispetto al percorso fino ad allora attraversato.

Al porto di Tinjin ho lasciato la moto, per imbarcarla in un container, e io ho proseguito fino al porto di Quingdao, dove io e la moto in tempi diversi ci siamo imbarcate per il porto di Incheon in Corea del Sud. Quello che più mi ha lasciato di stucco, sono due cose in particolare: la prima, una volta arrivata in Cina, avevo l’opportunità per la prima volta di poter scegliere pesce come alimento principale, fino ad allora mi era concesso soltanto carne. Secondo, l’espressione e le parole poi tradotte dalla guida degli uomini che chiedevano del mio viaggio. Oltre a chiedermi, se fossi donna, chiedevano se fossi realmente una donna, e come fosse possibile che una donna potesse attraversare da sola con una moto queste grandi distanze!

Sono giunta ad Incheon nei giorni del “Chuseok” in Corea, ossia i giorni in cui tutte le attività sono chiuse per onorare una tradizione millenaria di vistare i templi, e passare del tempo con le proprie famiglie indossando gli abiti tradizionali, in segno di buon augurio per l’amore e la prosperità. Questa circostanza ha fatto slittare enormemente il processo di sdoganamento della moto. La difficoltà della dogana di comprendere perché passassi per la Corea per andare in Giappone, e la richiesta giornaliera di documenti, mi ha impedito di realizzare le interviste alle donne direttamente con la moto, ma di trovare un escamotage realizzando una stampa a grandezza reale della moto stessa, per continuare i miei incontri.

Per loro fu estremamente difficile comprendere quale fosse stato il mio tragitto per giungere in Corea, affascinati dai ricci dei miei capelli poiché nelle grandi città come Seoul molte donne in tarda età, quando i capelli diventano pochi, si ritrovano ad arricciare i propri capelli lisci. Inoltre è di moda l’intervento alla mascella per diventare meno riconoscibili nei tratti coreani.

Seoul si intravede la diversità della Cina e l’organizzazione socio-economica più prossima al Giappone. Il loro completo isolamento geografico con il resto del mondo, vista la chiusura in fase di sbrinamento con la Corea del Nord, fa sì che questo paese si presenti come un’isola. Anche qui ero impossibilitata ad usare le strade a percorrenza veloce ma, a differenza della Cina, la guida e le strade si presentano in uno stato di perfezione eccelsa.

Dopo la capitale Eumseong, Daegu e Haeundre, la campagna si presenta abbastanza strutturata fino a giungere al porto di Busan. Lì ho percepito uno stato di grande agitazione, una felicità indescrivibile. Ero a 214 km dalla costa giapponese.
 
Accedere ad un biglietto di traghetto e imbarcare la moto per il Giappone è stato difficile, era anche necessario mostrare il mio biglietto aereo di rientro una volta arrivata in Giappone. Le procedure al porto di Busan, e le procedure una volta arrivata al porto di Fukuoka, sono state incredibili! Sapevo che ero ormai arrivata, ma la macchina burocratica richiedeva dei tempi non compatibili al mio entusiasmo. A Busan, profondo ostruzionismo, credo dovuto alla difficoltà di prendersi la responsabilità di trattare documenti stranieri, e Fukuoka invece un eccesso di perfezionismo, al fine di non creare un caso atipico. La moto sentiva quanto me il bisogno di arrivare a destinazione.

A Fukuoka una gioia immensa mi lascia dimenticare della guida a sinistra, e la perfezione delle autostrade e del modo di guidare dei giapponesi diventa estremamente fantastica. In molti erano fieri che fossi giunta fino lì con una Yamaha, anzi probabilmente era necessario e possibile giungere a destinazione solo con un prodotto di origine giapponese, secondo loro! Patriottismo e accoglienza sono stati il binomio che hanno reso le soste in autogrill delle vere e piccole oasi di felicità. Il gabinetto super tecnologico ha sostituito i buchi a terra e circoscritti da una lamiera usati in Mongolia; l’adorato cibo a base di pesce ha sostituito le dure carni mangiate nei paesi senza mare; e lo stato di sicurezza stradale e la civiltà mi hanno fatto sentire a casa.

Passando per Kyoto, antica capitale del Giappone, sono arrivata alla sede della Yamaha dove mi hanno accolto con gioia e intervistata, definendo il mio gesto troppo positivo e possibilista. Passando per Hakone, il centro per eccellenza degli antichi Onsen, sono giunta a Tokyo sotto una pioggia incessante. Parlando giapponese e avendo come intento in particolar modo la popolazione nipponica, nel mio breve tempo volevo condividere tutto con loro. Tokyo non era mai stata così bella girandola da motociclista, non avevo mai percepito questo stato di grandezza ed entusiasmo.

Sono stranita, incredula, ma con una forza che non sapevo di avere. La moto era parte di un processo certamente più grande di lei, e io che provavo a dare una misura a questa grande ed incredibile fatica. La commozione degli amici a Tokyo è stata impressionante.

In pochissimo tempo, prima che il freddo a nord incominciasse a scendere raggiungo Sendai, arrivo alla Prefettura di Iwate per fermarmi a Morioka, la mia destinazione. Lì, il vulcano chiamato Monte Iwate non si è mai presentato così bello. La giornata di sole contrastava il freddo della notte e io mi accingevo a salutare e ridimensionare i bagagli per lasciare la moto alla spedizione via nave, e riprendere la quotidianità in un modo o nell’altro con un incessante numero di emozioni, che ad oggi ancora non ho dato nome e volto.

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