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Tappa 7

Turkmenistan

Sulla strada dell’inferno

Great Venture
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Con meno visitatori della Corea del Nord, il Turkmenistan è uno dei paesi più misteriosi e inesplorati dell’Asia centrale. Noto per essere ricco di gas e per l’ultima, bizzarra dittatura sotto Saparmyrat Niyazov, che ha lasciato la maggior parte del popolo ancora estremamente povero.
Il Turkmenistan è stato per noi di gran lunga il paese più folle da visitare. Ottenere il visto per il Turkmenistan rapprensenta una vera e propria sfida. Circa il 50% delle richieste viene bocciato senza motivo. Dopo quattro settimane di fibrillante attesa ci sembrava di aver vinto alla lotteria quando, dopo aver ricevuto i passaporti, abbiamo trovato un visto di transito di 5 giorni.

Insieme a Emmanuel, un altro motociclista francese, siamo partiti da Mashhad vicino al confine con il Turkmenistan. Un altro giorno, un’altra avventura. Ci siamo dati appuntamento con Emmanuel molto presto, e tutti e tre abbiamo percorso gli ultimi 200 chilometri verso Bajgiran, il punto di confine, in perfette condizioni stradali. Ci siamo divertiti parecchio curva dopo curva, tutto in salita. La temperatura è scesa a 25° C, si stava bene.
Uscire dall’Iran non è stata difficile, si sono mostrati tutti amichevoli e disponibili. Davanti al gate che a fatica e con gran rumore si chiudeva alle nostre spalle, eravamo piuttosto incerti sulla procedura che ci aspettava. Un incubo burocratico.
All’interno del primo edificio abbiamo dovuto esibire i nostri passaporti e lasciare le impronte digitali. Gli agenti ci hanno interrogato sull’esatto percorso che intendevamo fare e siamo stati obbligati a seguire rigorosamente questo percorso senza mai lasciare la strada principale.
La procedura di entrata è durata tre ore e mezza durante le quali siamo stati sbattuti da un ufficio all’altro. Nel complesso abbiamo pagato circa 80 dollari in uno dei paesi più corrotti al mondo. Particolarmente degno di nota è stato il medico che ha preso gli occhiali di Peter e gli ha detto: “Non puoi guidare con questi. Se mi dai dei soldi, posso anche lasciarti andare “. Dopo aver aperto tutte le nostre borse ci hanno dato il lasciapassare, a una condizione: non avremmo dovuto fermarci per nessun motivo per i primi 30 chilometri.

Aşgabat: la città di marmo bianco
Dopo il terremoto del 1948, Aşgabat fu ricostruita in stile pomposo, per mostrare al mondo le glorie e le conquiste dei turkmeni. Il risultato sembra un set di un film di fantascienza.
Lonely Planet la descrive come un misto tra Las Vegas e Pyongyang. A parte qualche auto bianca con i vetri oscurati, in strada non c’era praticamente nessuno. Girando per la città con 43° C ci siamo fermati in un enorme centro commerciale per rinfrescarci e trovare un posto a poco prezzo dove stare.
Anche l’interno del centro commerciale sembrava un palazzo reale, era tinteggiato bianco con ornamenti d’oro. Siamo stati per un po’ al supermercato per rifornirci di biscotti.
Con grande sorpresa, all’uscita qualcuno ci stava aspettando. “Sei il tizio della dogana, bello rivederti”, lo salutò Emmanuel, con fare amichevole. Aprì la bocca in modo che potessimo vedere i suoi denti d’oro e rispose poco amichevolmente che gli dovevamo 100 dollari: “Datemeli subito o vi caccerete in guai seri”. Prima ancora che potessimo cominciare a sentirci intimiditi, Emmanuel gli rispose subito che non gli avremmo dato alcun soldo e si allontanò. Ancora sotto shock, lo seguimmo chiedendoci come avesse fatto a trovarci.

Visita alla città di Aşgabat: alloggiare ad Aşgabat è incredibilmente costoso per gli stranieri. I visitatori possono dormire solo negli hotel speciali con prezzi a partire da circa 100 dollari a notte. Siamo stati fortunati ad incontrare una coppia tedesca al centro commerciale, la quale lavora all’ambasciata di Aşgabat. Sono stati molto carini con noi e ci hanno raccomandato un hotel “economico”, dove abbiamo pagato “soltanto” circa 100 dollari a notte per la camera doppia.
Quella sera stessa abbiamo trovato un bel posticino dove bere un po’ di birra, la prima dalla nostra entrata in Iran e Claudia ha potuto riprovare la libertà di avere il capo scoperto in pubblico. L’entrata in Turkmenistan dall’Iran, uno dei paesi più restrittivi al mondo, aveva sprigionato quasi un’aria di libertà per noi.

Aşgabat di notte è ancora più strana in quanto numerosi edifici vengono illuminati con colori diversi e nessuno, tranne gli operatori ecologici e i poliziotti, è in strada per ammirarli. Abbiamo visto il famoso Wedding Palace cambiare i colori dal verde all’oro al rosso. L’edificio dispone di sei camere per la registrazione del matrimonio, sette sale per banchetti, 36 negozi, due bar e un hotel.
La mattina successiva volevamo visitare la famosa moschea Gypjak, la più grande dell’Asia centrale la cui cupola dorata e i quattro minareti rivolti verso il cielo erano visibili già da lontano.
Non abbiamo dovuto cercare un posto per il parcheggio perché abbiamo trovato un enorme garage sotterraneo, completamente vuoto, dove posteggiare la moto. Intorno alla moschea ci sono numerose fontane con acqua cristallina che brilla al sole facendolo sembrare un’oasi nel deserto. Entrarvi è sembrato un paradiso quando la temperatura è scesa da oltre 40 °C a circa 25 °C. In piedi sul morbido tappeto fatto a mano ci siamo incantati di fronte al l’enorme sala di preghiera con colonne di marmo bianco, e in alto una cupola blu ricca di dettagli dipinti a mano.

Dal deserto fino alla porta degli inferi
Con Aşgabat alle nostre spalle, lo scenario si è presto trasformato in infiniti paesaggi del deserto del Karakum. La strada passa attraverso campi ora asciutti ora sabbiosi. Fermatici in una stazione di servizio, abbiamo visto un’altra piccola moto. L’autista, al telefono, aveva lo sguardo rivolto nella direzione opposta alla nostra, per cui non riuscimmo a vedere la sua faccia. Senza pensarci troppo abbiamo proseguito per la nostra strada, fino ad arrivare davanti a un piccolo negozio di strada per comprare della coca ghiacciata, dove avvistammo la stessa moto a pochi metri di distanza da noi. Eravamo sicuri che ci stavano seguendo, tuttavia abbiamo ripreso il cammino decidendo di fermarci prima che la strada diventasse una lunga discesa, e lì, dal nulla, riapparve la moto. Ci vide; non era sorpreso. Indossava una giacca militare ma la sua faccia era coperta.
Allontanandoci dalla strada principale abbiamo dovuto viaggiare su pura sabbia per gli ultimi 7 chilometri, prima di arrivare all’ultima parte del cratere, la cosiddetta Porta degli Inferi. Il sole lento calava mentre cercavamo con tutte le forza di spostare le moto dalla profonda sabbia.

Emmanuel sfrecciava davanti a noi, divertendosi, mentre noi andavamo avanti a fatica. Accellera sempre! Non rallentare! Peter ha fatto così come gli era stato detto ed è riuscito a percorrere qualche metro prima che la moto si ribaltasse su di un lato. Tutti e tre insieme siamo riusciti a sollevarla. Nel frattempo, il sole stava lentamente tramontava in un fantastico color arancione e la strada non migliorava. Solo incroci che sfociano in altri sentieri sabbiosi. La moto cade nuovamente, e questa volta, in lontananza, abbiamo visto una nuvola di polvere avvicinarsi. Era una piccola moto che si dirigeva verso di noi.
All’inizio pensavamo fosse la moto che ci pedinava che forse poteva venirci in aiuto. E invece era un motociclista locale, che molto gentilmente si è reso disponibile ad aiutarci.
Sulla strada già buia, una macchina con un gruppo turistico locale che si dirigeva verso il cratere del gas è apparsa e si è fermata davanti a noi, decidendo che per Peter sarebbe stato meglio fare la salita in moto da solo, così Claudia salì in macchina e si unì al gruppo per gli ultimi chilometri. L’atmosfera in auto era fantastica. Tutti si stavano divertendo! Vedere il cratere del gas per la prima volta è stato davvero impressionante.

Ben presto Emmanuel, Peter e il buon samaritano locale raggiunsero anche loro la Porta degli Inferi, non stavano più nella pelle. Ce l’abbiamo fatta! Non lontano dal cratere ardente c’era una yurta dove abbiamo celebrato il nostro successo. Per un po’ siamo rimasti lì, rapiti da quelle fiamme che ardono senza sosta da più di 40 anni.
Sul far della notte un gruppetto di persone della zona si sono aggregate. Eravamo tutti in piedi a pochi metri dal cratere… il nostro viso si riempì di stupore quando sentimmo che l’indomani uno di loro si sarebbe calato nel cratere. Vedremo, pensammo tra di noi, e andammo a dormire nei nostri sacchi a pelo fuori della yurta, sognando le alte fiamme ardenti.
Il giorno dopo non iniziò alla grande – a Emmanuel mancavano alcuni dei suoi soldi. Quando abbiamo chiesto alla gente della yurta, improvvisamente questi non capivano più la lingua inglese. Una lezione per noi, metteremo sempre i soldi in posti sicuri, anche se ci allontaniamo per poco tempo.

Con un piede nelle fiamme
In lontananza potevamo già vedere persone in piedi attorno al cratere in fiamme. Quando siamo arrivati abbiamo visto il gruppo del giorno prima in procinto di scendere veramente tra le fiamme, senza alcun tipo di attrezzatura professionale. Dopo aver agganciato la corda alla loro auto, uno di loro inizia la sua discesa. Più si calava più i suoi piedi si avvicinavano alle fiamme. Il calore doveva essere insopportabile e non appena arrivato in fondo gli altri cominciarono subito a tirarlo su. Tutti e tre lo guardavamo, affascinati da questo gesto, mentre tornava su, esausto e dolorante. Una volta tornato in cima gli spruzzarono immediatamente sulle mani una lozione contro le ustioni.
Abbiamo imparato che per i turkmeni non c’è molto da scegliere per viaggiare o esplorare posti diversi. Nel tempo libero amano fare cose folli nel loro paese.

Il ritorno sulla strada principale si rivelò molto più facile perché Claudia era seduta sulla piccola moto del ragazzo turkmeno, mentre Peter era dietro di loro. Seguire una persona della zona è l’ideale qui perché conosce esattamente quale strada prendere. Siamo riusciti a raggiungere la strada principale senza mai cadere e abbiamo continuato attraversondo tutto il paese. Per ore e ore ci siamo ritrovati su una strada completamente diritta, il clima era più caldo a ogni minuto che passava ed ai cigli della strada solo sabbia. Sedersi all’ombra della moto accanto al motore ancora bollente risultava meno asfissiante che stare sotto il sole!
Dopo ore finalmente raggiungemmo una stazione di servizio. Lì abbiamo trovato una stanza fresca con dei materassi, ci siamo addormentati subito dopo aver mangiato qualcosa. Quando abbiamo inoltrato la domanda per il visto, abbiamo dovuto comunicare il percorso esatto che avremmo intrapreso. Emmanuel è dovuto uscire a Kunya-Urgench mentre il nostro punto di uscita era Daşoguz. A quel punto lo abbiamo salutato, è stato emozionante fare questo viaggio con lui.

Abbiamo trascorso l’ultima notte in Turkmenistan a Daşoguz, dove abbiamo incontrato Didier Martin, un altro motociclista francese che era di ritorno dal suo viaggio in moto in Afghanistan. Ci siamo messi ad ascoltare tutto quello che aveva da raccontare. Aveva già fatto gran parte dell’Africa in moto, due volte, ed era già stato in gran parte del mondo. Al mattino eravamo gli unici a fare colazione, fatta eccezione per un turkmeno a pochi tavoli di distanza. Continuava a guardarci in modo strano ed avevamo di nuovo la sensazione di essere osservati… sulla strada verso il confine abbiamo visto la stessa auto seguirci ovunque andassimo e per fortuna attraversare il confine con l’Uzbekistan fu molto più veloce di quello che ci aspettavamo. Il Turkmenistan è stata un’esperienza straordinaria, tuttavia non ci è piaciuta la sensazione di essere osservati tutto il tempo, ma sarebbe stato interessante scoprire di più sul paese e passare più tempo con la gente del posto.

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