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Medio Oriente

Il viaggio vero è iniziato a Est, nella regione del Kurdistan Turco.

Great Venture
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Siamo assolutamente disinteressati alle imprese eroiche e alla retorica da supereroe che affascina molti viaggiatori. Non ci interessano i chilometri percorsi ma la gente incontrata e le storie di cui è pieno il mondo. Lo scopo principale di questo viaggio era quindi vedere il mondo con i nostri occhi, senza il filtro dei media che spesso deformano la realtà.
L’unico modo per fare questo è attraversare interi paesi, chilometro dopo chilometro, in una posizione di apparente svantaggio che suscita in tutti rispetto e ammirazione e, nella quasi totalità delle situazioni, predispone la gente del posto a dare una mano e ad entrare in contatto diretto con chi arriva a casa loro su due ruote dopo aver macinato chilometri di polvere e pioggia. Ci siamo presi un anno circa di tempo: sembra tanto ma in realtà lascia poco spazio agli imprevisti e molte volte bisogna andare spediti anche se non se ne avrebbe voglia.
La moto si chiama Sofia ed è una Yamaha XT660Z Tenerè del 2008.
Abbiamo festeggiato i suoi centomila chilometri arrivando a Luang Prabang, l’antica capitale del Laos, a metà del viaggio. E’ una moto versatile e molto valida in fuoristrada, che poi è l’ambiente per il quale è stata progettata. Con circa 45 cv non è il massimo della potenza, soprattutto se paragonata alle maxi-enduro che al momento vanno per la maggiore, ma è quanto basta per andare un po’ ovunque in due e a pieno carico.

In Turchia abbiamo fatto vita tranquilla da turisti, se escludiamo un cuscinetto della ruota spaccato alla periferia di Ankara, fermandoci a lungo a Istanbul e sulla costa del Mar Nero. In Cappadocia ce la siamo presa comoda, celebrando un finto matrimonio col pretesto di metterci due fedi per non avere problemi in Iran.
Il viaggio vero è iniziato a Est, nella regione del Kurdistan Turco a ridosso di quell’Iraq teatro delle carneficine dell’Isis iniziate un mese prima della nostra partenza.
Un mondo diverso fatto di gente amabile, i primi a combattere contro il nuovo mostro e ad accogliere gli sfollati del monte Sinjar, il cui campo profughi abbiamo visitato insieme a un’attivista americana.

L’Iran ci ha accolto con la proverbiale ospitalità della Via della Seta: un pease i cui abitanti sono così tranquilli e pacifici da essere noioso, anche se la mia signora si è lamentata per tutto il tempo del velo imposto per legge alle donne, anche straniere. L’abbiamo percorso fino a sud, visitando la città di Bam dove abbiamo incontrato Tino e Huber, due motociclisti tedeschi diretti in Nuova Zelanda con cui abbiamo attraversato il Pakistan.
Eravamo seriamente preoccupati da questo paese ma, ancora una volta, la realtà si è dimostrata più complessa delle notizie televisive e, a eccezione di un villaggio nel nordovest del Pakistan, non abbiano mai avuto problemi con le popolazioni locali che, invece, ci hanno sempre accolto nelle loro case dividendo quel poco che avevano con i viaggiatori dell’ovest.
E le scorte di polizia, che ci sono state obbligatoriamente assegnate, sono state una delle cose più divertenti della mia vita.

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