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Lanzarote e Fuerteventura: l'incontro con due divinità

Le Canarie in moto

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Due isole brulle dove vento e vulcani disegnano paesaggi surreali ed alieni. Più selvaggia l’una, più turistica l’altra.

Capitolo I: Lanzarote

Impossibile perdersi

Il 19 marzo con Nina partiamo da Roma alla volta di Lanzarote, isola che prende il nome dal navigatore italiano Lanzarotto Malocello, piccola curiosità. Usciti dall’aeroporto ci aspetta una BMW F650GS monocilindrica consegnataci dalla Blue Speed, sbrighiamo velocemente tutte le pratiche, carichiamo la moto e si parte alla volta di Yaiza.Lanzarote ci accoglie con un tramonto dai colori indescrivibili! Purtroppo l’oscurità del crepuscolo non ci permette di vedere molto di più, ma una cosa salta all’occhio: le strade. Sembrano asfaltate dalla stessa ditta che si occupa del Mugello! L’asfalto è praticamente perfetto!Senza cartine, né gps, né altro in 10 minuti, senza sbagliare una via, arriviamo al B&B che avevamo prenotato a Yaiza! Ok, capito, su queste isole non ti perdi neanche a farlo apposta… Chiediamo ai proprietari del B&B dove è possibile mangiare e loro: “a 200 metri da qui c’è il miglior ristorante della città!”

200 metri? Ma li facciamo a piedi!
Dopo 400 metri imbocchiamo una strada che sembra uscita da Silent Hill! Dopo altre centinatia di metri notiamo che ci stiamo dirigendo fuori dal paese, ma dove cavolo stiamo andando?
Noi procediamo, sempre meno fiduciosi, stiamo uscendo dal paese, arriviamo all’ultima luce prima del buio della notte, l’ultima costruzione prima del nulla, è il ristorante!
Ci fanno accomodare e chiediamo il piatto tipico, ci portano uno spezzatino di carne di capra marinata e fritta. Non ci crederete, ma era veramente buono!Con l’energia dataci dalla capra il giorno dopo decidiamo di girare un po’ il sud dell’isola, da Yaiza percorriamo La Geria, cioè la zona dei vini di Lanzarote. Qui tocchiamo con mano quello che l’uomo può inventare pur di bersi del buon vino!La terra nera ed i vulcani creano una cornice unica dove si affacciano timidamente le foglie di vite.Torniamo verso sud, seguiamo il percorso della lava fino all’oceano. Percorriamo la strada verso El Golfo, poi arriviamo a Los Hervideros, un grosso parcheggio pieno di gente. Non capiamo il motivo ma tutti sono entusiasti, noi non vediamo nulla. Scendiamo dalla moto e prendiamo il sentiero, sopraelevato rispetto al parcheggio, e lì rimaniamo attoniti!

Lanzarote finalmente si mostra in tutti i suoi colori: il blu del cielo, il rosso dei vulcani, il nero delle rocce e l’azzurro del mare, che cozzano con il giallo fluo di un ciclista aspirante suicida…
Lo spettacolo è comunque mozzafiato!Continuiamo a seguire la costa per qualche altro chilometro, per poi virare verso Playa Blanca, da dove prendere il traghetto per Fuerte!Arriviamo facilmente al porto, parcheggiamo ed iniziamo a chiedere alle varie biglietterie, la prima ci risponde: “provate a sentire quello…”
La seconda: “andate all’altro più su…”
La terza: “noi oggi non partiamo, provate l’altro…”
Finché il quarto: “vedete il gabbiotto blu e bianco vicino alla banchina, loro partiranno a breve!”
Perfetto, ci dirigiamo da loro e chiediamo quando sono previste le corse, ci indicano un cartello che riporta gli orari 10-12-14-16-18, guardo l’orologio e sono le 14.55, abbiamo un’oretta… La signorina ci guarda e ci fa capire che la prossima partenza è tra 5 minuti, come 5 minuti? Ma che dice? Poi realizzo… No! Orario italiano…..
Nina prende i documenti per i biglietti mentre io corro a prendere la moto, mi fiondo contromano sulla banchina fermandomi di fronte alla biglietteria per fornire la targa. Intanto vedo che sulla nave stanno armeggiando con corde e catene, se la signorina non si sbriga mi tocca salire sulla nave a mo’ del Generale Lee di Hazzard. Il ticchettare frenetico sulla tastiera mi suggerisce che la signorina sta dando il meglio di sé, poi Nina si gira, mi fa segno “Ok”, non ci penso un secondo, mollo la frizione, una manciata di gas e sono sulla nave!

Sbarchiamo e diamo un’occhiata alla mappa, ci sono due strade per scendere: una costiera e l’altra che taglia l’isola, naturalmente scegliamo quest’ultima!
L’asfalto non ha nulla da invidiare all’isola vicina. Dopo qualche chilometro di percorrenza tranquilla attraversiamo la cittadina di La Oliva, dove è ubicata la Casa del los Coroneles. Un edificio del 17° secolo costruito con il tipico stile dell’isola nonché sede del potere dell’epoca. Lì ci facciamo delle foto con gli autoctoni che risultano molto amichevoli e più fotogenici di me…Educatamente ci congediamo dagli indigeni e continuiamo la nostra discesa. In groppa al mio fido destriero giungiamo a Tiscamanita che sarà la base dei nostri spostamenti dei prossimi giorni.

Capitolo II: Fuerteventura

Isla ventosa

Il mattino seguente, di prima mattina, sento una forte pioggia ticchettare sul tetto e sulle finestre, meglio soprassedere sui miei pensieri… Dopo un po’ mi alzo, apro la finestra per controllare il tempo e niente! Cielo sereno e tutto asciutto. Ottimo! Lasciamo i bagagli al B&B e, a moto scarica, continuiamo la discesa verso sud.Lungo la strada vedo un sentiero sterrato, non ci penso un secondo, già lo sto percorrendo! La strada inizia a salire con conseguente cambio del fondo Nina, prudentemente, scende e mi fa proseguire solo.
I sassi iniziano a diventare più grossi, il posteriore si muove a destra e sinistra, mentre l’anteriore lancia pietre contro il paramotore. Continuo a dare gas per salire, finalmente giungo sulla cima, il fondo si compatta, così mi rilasso e mi godo il panorama. Mozzafiato!
Scendiamo ancora un po’ lungo la sterrata per poi riprendere l’asfalto, percorriamo la strada che arriva alla costa, il panorama è caratterizzato da spiagge bianche e surfisti, che su quest’isola sono una costante.Questa parte dell’isola è la più turistica e anonima, condomini a gradoni, viali di palme, catene di negozi di abbigliamento… praticamente Morro Jable potrebbe essere una qualsiasi città tra Beirut e Miami!

Usciamo dalla città, negli specchietti ancora vedo le mega-navi da crociera ormeggiate nel porto, davanti a me il nulla! La strada diventa quasi subito sterrata, il vento inizia a soffiare forte, ma noi continuiamo! Anche se sterrata c’è un discreto via vai di auto, tutte rigorosamente a noleggio! Il 90% delle auto che abbiamo incontrato erano a nolo! Un bel business! Dopo 17 km di sterrata, fortunatamente tenuta meglio di parecchie strade nostrane, arriviamo all’estremo sud dell’isola, qui, sotto il faro, ci sediamo a goderci il sole che si specchia nell’oceano.Ci fermiamo al bar del paese vicino per una birretta e per ripararci un po’ dal costante vento, il locale sembra uscito da un libro di Hemingway, mi aspetto che a momenti esca fuori un disgraziato pescatore di marlin! Ci sediamo nella veranda che trema tutta per le forti raffiche che dall’oceano investono l’isola.Ripartiamo che è già tardo pomeriggio, il ritorno è stremante… Per ogni singolo centimetro di strada il forte vento mi sballotta la moto a destra e sinistra, cerco di raggomitolarmi un po’, ma cambia poco, Eolo qui è troppo forte. Decidiamo di non fare tutta una tirata, ci fermiamo quindi in un ristorantino sulla via del ritorno. Il mattino seguente ritrovo lo stesso vento forte che mi ha stremato il giorno prima. Maledizione! Stavolta vogliamo visitare l’interno e l’altra costa dell’isola, iniziamo da Aguas Verdes.

Continuiamo verso l’interno dell’isola dove la strada corre lungo le punte più alte di Fuerteventura.

Sul Mirador Velosa scatto una panoramica completa dell’isola! Purtroppo non riesco a godermi troppo il paesaggio, il vento è talmente forte che si fatica a stare in piedi! Qui mi si avvicina un turista francese che mi fa con tono, simpatico e beffardo: “fa freddo in moto?”
Io, tutto bardato da moto con giacca, guanti, scaldacollo e sottocasco lo guardo nei suoi pantaloncini, con le infradito e la magliettina che cerca come può di non dare a vedere che soffre il vento freddo, vicino a lui alcune ragazze che cercano riparo in macchina… Gli sorrido, non c’è neanche da rispondergli…La strada è piena di punti panoramici dove gli scoiattoli elemosinano un po’ di briciole dai turisti, mentre i falchi controllano il tutto dall’alto. Tutto d’un tratto i roditori spariscono e i falchi si allontanano, un’ombra nera si staglia sul terreno. È arrivato il signore di queste alture, intelligente, forte e nero come la pece: il corvo. Ci plana ad un metro, pare non interessarsi minimamente degli umani nelle vicinanze, dopotutto siamo noi gli ospiti, lui è il padrone.
Proviamo a farci un po’ di mare, ma il vento ci lancia addosso la sabbia violentemente. Dopo essermi smerigliato entrambi i lati torniamo al B&B, in fondo si è fatto tardi.

Capitolo III: l'odissea per Lanzarote

Ultimo giorno a Fuerteventura. Come ogni finale che si rispetti ci deve essere l’incontro-scontro con il nemico, e lui questo lo sa. Infatti oggi il vento è tremendo!Carichiamo la moto, un’ultima occhiata in giro e salutiamo questo pezzo d’isola. Per tornare al traghetto decidiamo di prendere la strada costiera.Lungo la strada il vento è trasversale, forte e costante, cerco di appoggiarmi per guidare più dritto possibile e lui, per tutta risposta, mi prende a schiaffi il casco e a calci la moto! Non riesco ad andare in linea retta, sbando a destra e sinistra, ma tengo duro, devo arrivare al traghetto e lasciare quest’isola.
Quando siamo quasi a Corralejo inizio a pensare di avercela fatta, che ingenuo… Quell’infame di Eolo ha in serbo un’ultima carta: una tempesta di sabbia. Già perché vicino a Corralejo c’è un parco naturale caratterizzato da dune di sabbia e, guarda caso, mentre percorrevamo quella strada il vento soffiava proprio da queste dune verso la strada.
La moto che sbanda, sabbia leggera sull’asfalto e macchine di turisti che procedono a rilento, l’infame ha pianificato proprio bene questa trappola. Ma ormai siamo vicini, stringo i denti e vado avanti. Mi sembra di essere Ulisse che combatte per tornare ad Itaca.

Finalmente ecco la città! In mezzo alle vie il vento è meno forte, posso prendere fiato, ma non c’è tempo. Mi fiondo al porto ed arrivo giusto in tempo per vedere la partenza del traghetto, vento maledetto hai vinto la battaglia!Arriviamo a Lanzarote con due ore di ritardo sulla tabella di marcia e di nuovo ci accoglie il vento, ma qui è meno forte, meno arrogante, meno prepotente. Già perché questa non è la sua isola, qui è un ospite come lo siamo noi. Sulla strada ci fermiamo a rendere omaggio al vero padrone di Lanzarote: Efesto.
Questi, trecento anni fa, ha ricoperto un terzo dell’isola con lava e ceneri, donandole un aspetto unico.Per ora salutiamo Efesto, lo incontreremo nuovamente più avanti, per dirigerci a Tabayesco, nel selvaggio nord, dove ci aspetta la nostra prossima base.
Prima di arrivare al paese, tuttavia, c’è da percorrere il famigerato Malpaso. Ua serie di curve e tornanti che serpeggiano lungo una gola per poi sfociare al mare. Sembra una dantesca discesa negli inferi.
Dopo il tortuoso percorso arriviamo a destinazione e già pregusto la seguente giornata, che inizia con un pensiero abbastanza insano.

Si torna di corsa nella zona dei vulcani perché avevo notato un certo sentiero che si snodava dalla strada e che costeggiava il confine del parco nazionale…Arrivati lo prendo al volo! Il fondo è costituito da lapilli vulcanici piusttosto grossolani che sono tutt’altro che compattati. La moto affonda, balla, beccheggia… sembra una nave in balìa delle onde! Dal canto mio non posso far altro che assencondare il movimento e dare qualche zampata quando serve. Ma vale la pena ogni singolo centimetro.Stiamo su della lava tra l’oceano e i vulcani; solo a Lanzarote è possibile una cosa del genere.
Tutto d’un tratto la strada migliora, il fondo si compatta, ho una specie di deja vu… Giudo la moto molto più rilassato ed arrivo ad un incrocio, destra verso il nastro d’asfalto e sinistra verso l’oceano, voi che avreste fatto?Dopo pochi chilometri ci ritroviamo in un posto isolato, deserto, dove l’oceano con forza cerca di scalfire la nera roccia vulcanica, in poche parole Playas de las Malvas. Non mi dilungherò in descrizioni, sarebbero inutili, questo è un luogo da vedere e vivere.

Nel pomeriggio andiamo a casa del dio, al Parco Nazionale del Timanfaya, da dove è partita l’ultima eruzione. Il parco è off limits, quindi entriamo pagando il biglietto e ci fanno posteggiare sotto un ristorante costruito sulla bocca di un vulcano che utilizza il calore della terra per cucinare. Saliamo sul pullman per la visita, qui Efesto mostra i muscoli, fa capire come un suo semplice gesto può portare un’immane distruzione.Purtroppo non ci fanno scendere, c’è una registrazione che spiega, in varie lingue, la storia di Lanzarote e dei suoi vulcani. Lo spettacolo al di là del finestrino è assurdo, surreale, alieno, Marte o la Luna me li immagino così, potrebbe anche non esserci ossigeno fuori dal bus. Quello che è evidente è che non c’è vita e chissà ancora quanto si dovrà aspettare per vederne una.
Il pullman gira attorno ai vulcani, all’interno delle colate laviche e sopra le bocche esplose. Cenerei e rocce vulcaniche disegnano il panorama con colori molto saturi e contrasti violenti, il mare e il cielo creano un’azzurra cornice a questo quadro.Con questo spettacolo ancora negli occhi ce ne torniamo al B&B, oggi è stata una giornata fantastica!

Capitolo IV: i 4 elementi

Continua la nostra esplorazione. Dopo una colazione a base di marmellata di cactus, questa volta puntiamo a nord, la parte più verde e lussureggiante dell’isola. Tuttavia stavolta quello che c’è sopra ci interessa poco, ma quello che sta nascosto sotto è la nostra vera meta. Infatti scendiamo all’interno delle vene e delle arterie di questa viva e pulsante terra, penetriamo nel sistema circolatorio di Efesto entrando nella Cueva del los verdes, una grotta creata da dal percorso della lava nel sottosuolo.
All’interno della terra i colori cambiano, ma il calore meno. Infatti nell’oscurità, interrotta da venature di roccia colorata, la temperatura è costante sui 20°.
La guida ci spiega che oltre che la distruzione lalava ha portato anche vita, perché in queste grotte si rifugiava la popolazione quando era sotto attacco dai pirati.
Una visita veramente suggestiva!

Sulla strada ci troviamo lo Jardin de Cactus, una specie di orto botanico con più di 1400 piante grasse, alcune alte anche qualche metro. Durante le passeggiate bisogna fare molta attenzione, queste pianticelle non scherzano, hanno spine ed aculei che nulla hanno da invidiare alle zanne dei predatori.
Questo luogo, come altri sull’isola, sono creazioni di César Manrique, ma chi era questo tizio?
César Manrique era un architetto, ecologista ed artista nato a Lanzarote. Spinto dall’amore per la propria isola ha ceracto con ogni mezzo di valorizzarla, senza mai snaturarla o svenderla. Ha creato tutte le sculture, semoventi o fisse, che si trovano sull’isola, il Ristorante del Diavolo sul Timanfaya, il già citato Jardin de Cactus, insomma se Lanzarote è quest’isola meravigliosa in larga parte è merito suo, per questo vale la pena di spenderci due parole!Mentre stiamo sorseggiando un paio di birre godendoci l’ombra del bar sento una voce, una specie di richiamo, ma non riesco a capire bene cosa dice. La voce diventa più forte, il richiamo si fa più chiaro, lo riconosco! È Efesto che mi chiama.
Salto sulla moto e di nuovo sono sui luoghi dell’eruzione, stavolta però cambio zona e vado verso una montagna più piccola, ma che offre uno spettacolo per gli occhi.La Montaña del Cuervo mostra un altro lato dell’eruzione, quello esplosivo, difatti la montagna porta su di sé i segni dell’esplosione. Grazie Efesto per avermi indicato questo luogo! Questo vulcano, a differenza degli altri, è raggiungibile in moto ed è visitabile a piedi. Infatti noi ci facciamo il giro per poi entrare all’interno. La terra nera scintilla tutta di minerali incastonati nella roccia come pietre su gioielli.

La montagna ha anche una seconda sorpesa per noi, dalla cima ci regala una visione unica del Timanfaya, dei vulcani e della colata lavica.
Tornaiamo al B&B, oggi è la nostra ultima serata sull’isola, andiamo quindi in un ristorantino sulla spiaggia, proprio qui vicino, e considerato dai locali uno dei migliori, la Casa de la Playa. È uno di questi ristoranti dove andrebbe Rubio, molto rustico, pochi fronzoli, ma molta sostanza.
Al cameriere chiediamo quali siano le specialità e ci indica la zuppa e la grigliata di pescato, le ordiniamo entrambe accompagnate dal bianco del Grifo, una delle 10 cantine più antiche della Spagna e la più antica di Lanzarote.
Il cibo è qualcosa di magnifico, freschissimo e ottimo, come il vino che non è il solito bianco, ha un suo carattere definito, si sente che è nato su un’isola come questa.Anche oggi la giornata volge al termine, usciamo dal ristorante e vediamo la Luna piena che si riflette nel calmo oceano.
L’ultimo spettacolo della giornata. Il giorno successivo è quello della partenza, carichiamo la moto e facciamo un ultimo rapido giro dei (pochi) posti che ancora non abbiamo visitato; nella parte nord ci manca solo un belvedere che sovrasta l’isola della Graciosa. È ora di andare, dirigendoci verso Arrecife pensiamo a tutto quello che abbiamo visto in questi giorni, alla natura inospitale di queste terre ed alla meraviglia della loro unicità. Sfogliamo i ricordi come pagine di un libro, questo viaggio ci ha messo in contatto con i quattro elementi, con la natura, mostrandoci luoghi che sembrano provenire da un altro pianeta.
Come tutti i viaggi anche questo si conclude, ma questo è un bene, perché ci permette di iniziarne uno nuovo, chissà la prossima volta cosa vedranno i nostri entusiasti occhi.