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Viaggio in moto verso l'Oriente

Your Travel
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Eccomi qua, sotto le palme da cocco, col sedere piatto dopo gli ultimi 15.500km in due mesi e mezzo a cavallo della mia fidata Suzuki V-Strom 650 del 2005, a scrivere un po’ quello che ho combinato in giro per l’Asia negli ultimi 890 giorni.

Il viaggio verso il sole nascente iniziato l’8 maggio 2015 si ferma ora alla sua seconda tappa con uno stop a Goa, in India. Qualche mese per ricaricare le pile (e possibilmente il portafoglio) e per programmare le tappe future.

La Partenza

Ricordo ancora molto bene quel lontano venerdì 8 maggio del 2015 in cui salutai la famiglia e partii da solo con la bussola nautica montata sul cruscotto che puntava verso est. In poche ore arrivai in Croazia, aprii la tenda con ancora le lacrime che bagnavano il casco per l’emozione per aver davvero realizzato il sogno che costruivo da otto anni e fu lì che mi accorsi di non avere preso alcun accessorio da campeggio, se escludiamo il fornelletto. Qualche imprecazione, una bella risata e mangiai dei fagioli in scatola servendomi del bicchiere in alluminio come cucchiaio… Niente male come inizio!
Attraversai in due settimane tutti i Balcani, visitando quelle che sono alcune delle città che hanno segnato la storia degli anni ’90 e che ancora oggi portano un carico di umanità incredibile. Mi emozionai a Sarajevo davanti alle case crivellate di proiettili ed entrai nel vivo del viaggio quando, dopo aver passato alcune belle serate con amici incontrati tramite couchsurfing, giravo da solo a Skopje in piena notte senza mai sentirmi in pericolo, seppure in quei giorni ci fossero forti rivolte in Macedonia. L’intero Mondo era dalla mia parte.
Dopo circa quattromila chilometri in mezzo ad una moltitudine di culture a pochissima distanza le une dalle altre arrivai in Turchia e lì la mia vita cambiò definitivamente.

Turchia: Avrei Dovuto Passarci Due Settimane Ma…

Ci restai quindici mesi. Non lo avrei mai immaginato ma fin dal primo giorno incontrai persone magnifiche sul mio cammino, girai tutto il Paese in lungo e in largo, percorrendo novemila chilometri in cinquanta giorni, visitai ogni angolo remoto nel Kurdistan passando a pochi chilometri dai confini siriani e nelle regioni gestite dal PKK senza mai avere un problema, ma addirittura venendo sempre ospitato dalle famiglie locali.
Visitato tutto l’est al confine armeno avrei dovuto quindi arrivare a Trabzon, prendere le gomme di ricambio, il materiale per il tagliando ed il visto iraniano e proseguire verso la Georgia, ma andò diversamente: avevo qualcosa in sospeso da risolvere, lo sapevo ma non volevo ammetterlo, e così, un po’ inconsciamente, trovai la scusa e tornai ad Istanbul. Grazie alle amicizie che mi ero costruito iniziai un corso di pilota di parapendio a Tekirdag, sul Bosforo; un altro sogno che mi portavo dentro da anni diventò realtà. Subito si instaurò un ottimo feeling ed iniziai a vivere con i membri del club, imparando l’arte del volo ed aiutandoli nelle faccende quotidiane, vivendo secondo i ritmi della natura in un villaggio tra le montagne a picco sul mare, isolato dalla civiltà. Uno stile di vita magnifico, che mi cambiò mente e corpo.

In quei mesi, non senza difficoltà, capii finalmente che cosa avevo lasciato in sospeso: il viaggio epocale e la scelta di vita radicale erano incompleti senza la persona con cui avevo sognato tutto questo ma da cui proprio nei mesi prima della partenza mi ero allontanato. Nonostante tutto lei, come me, era ancora lì a sognare un futuro insieme, e così, quando finalmente mi decisi e le proposi di iniziare a viaggiare insieme, mollò a sua volta un lavoro sicuro e mi raggiunse in Turchia per vivere insieme la follia del viaggio senza meta che avevo intrapreso.

La Decisione

Quella follia durò poco. Ad agosto 2016 mi scadeva il permesso di residenza di un anno in Turchia e fummo costretti a scegliere: le finanze scarseggiano, cosa facciamo? Sembrava essere davvero la fine del viaggio verso il sole nascente e l’inizio di un triste ritorno a ovest. Fu dopo un doloroso addio alla mia “famiglia adottiva” turca, mentre viaggiavamo diretti al confine greco, che mi fermai perchè non riuscivo più a guidare: eravamo entrambi silenziosamente singhiozzanti nei nostri caschi, nessuno di noi aveva intenzione di ritornare alla vita di prima; così lanciammo una lira turca. Testa, la ragione, si torna; croce, il cuore, andiamo ad est, chissà dove. Tre tiri. Primo: croce. Secondo: croce. Ci guardammo piangendo e lei mi disse solamente “Ok, andiamo”. Feci inversione e scatenai tutto quello che il magnifico bicilindrico a V della Suzuki riuscì a darci puntando di nuovo verso Istanbul, e poi sempre più ad est.
Arrivammo in Georgia senza l’equipaggiamento adatto, senza Carnet de Passage, senza visti, senza soldi e senza nemmeno i vestiti da pioggia, ma eravamo felici. Passammo lì circa un mese incontrando persone favolose e stringendo forti amicizie, viaggiando nel Caucaso e testando la moto carica e le nuove Heidenau K60 in fuoristrada molto impegnativi sulle strade di Ushguli. Si rivelò davvero il mezzo perfetto, superiore ad ogni aspettativa! L’inverno però era alle porte e per proseguire più a sud era già tardi, dato che in Armenia la neve arriva già in autunno ed i passi per l’Iran chiudono, e così decidemmo di lasciare lì la moto e tornare in Italia per lavorare solo qualche mese e riorganizzare il viaggio in Asia.

Medioriente: Varietà Culturale e Panorami Mozzafiato

I mesi invernali a Milano ci sfiancarono e se avessi avuto una valida alternativa li avrei evitati volentieri, ma almeno ci servirono ad organizzare bene la ripartenza. Tagliandata la moto dopo i mesi di parcheggio a Kutaisi, lasciammo la Georgia a giugno 2017 in direzione sud ed attraversammo l’Armenia e le sue infinite valli e montagne, godendo della libertà e tranquillità che quel Paese sa regalare, dormendo in tenda quasi ogni giorno senza mai sentirci a disagio. Visitammo anche il Nagorno-Karabakh e poi entrammo in Iran, la Persia, la culla della civiltà. Un posto davvero unico che consiglierei a chiunque di includere tra le mete dei prossimi viaggi in moto (o non) per l’immensa ospitalità degli iraniani, per le grandi architetture, per il “peso” della storia che lì si percepisce chiaramente e per il buon cibo. Un Paese in cui ci siamo ripromessi di tornare, perchè un mese non basta per visitarlo tutto e perchè abbiamo lasciato troppi amici che dobbiamo rivedere.
Le distanze nel Medioriente sono molto più dilatate che in Europa e l’ambiente molto più estremo. L’estate era nel pieno della sua aridità quando affrontammo il rovente deserto Dasht-e-Lut, nel quale ho vissuto una delle esperienze più incredibili della mia vita volando in parapendio al tramonto sulle sue dune, e nel quale abbiamo lasciato la maggior parte delle nostre energie per attraversarlo fino al confine pakistano. Molte notti in tenda sotto le infinite stellate del deserto ed ancora più notti in couchsurfing con persone straordinarie hanno reso per noi l’Iran una meta assolutamente indimenticabile.

È per La Vostra Sicurezza!

“It’s for your safety” è la frase che ha segnato la parte più faticosa di tutto il viaggio, quella in Pakistan. Giunti a Mirjaveh, ultimo avamposto iraniano, ci apprestammo ad attraversare il confine e fuggimmo giusto in tempo dall’imam del paese che mostrava atteggiamenti un po’ troppo invadenti nei nostri confronti. Il passaggio del confine pakistano fu piuttosto semplice ma, nonostante fosse solo mattino, fummo costretti dai Levies, la polizia del Baluchistan, a fermarci una notte a Taftan per aspettare la scorta. Fu questo l’inizio di duemila chilometri di viaggio percorsi in dieci giorni sotto scorta armata 24/7. Il Pakistan di per sé non è un Paese davvero pericoloso perché estremamente controllato e perché ai turisti è vietato l’accesso a tutte le zone sensibili; ciò nonostante per loro la sicurezza non è mai abbastanza e fummo costretti a seguire motorette o vecchie ed inquinanti Toyota Hilux guidate da poliziotti con Kalashnikov per quasi tutto il viaggio.
Solo a Lahore finalmente fummo liberi di proseguire e decidemmo di visitare il Karakoram per non andarcene pensando che quello fosse il peggior Paese al Mondo. La cosa funzionò, perché a nord le cose cambiano e la natura è meravigliosa con le sue montagne abbondantemente oltre i 7000m e le valli incontaminate, ma la Grand Trunk road (GT road) è un vero disastro e questa gita ad alta quota ce la siamo davvero sudata. Anche qui abbiamo stretto grandi amicizie che non dimenticheremo, ma in fin dei conti, usciti dal Pakistan, non posso purtroppo dire che non vediamo l’ora di tornarci!

L’anima Dell’asia

Ad inizio settembre, un mese fa, entrammo in India, il quindicesimo Paese del viaggio, tramite Wagah, l’unico confine aperto col Pakistan; un confine pressoché deserto visto che né ai pakistani né agli indiani è normalmente consentito attraversarlo e, a giudicare dai registri, di overlanders ne passano giusto un paio alla settimana. Ad Amritsar, la prima città dopo il confine, subito ci sentimmo in un mondo diverso, ricco di contrasti e spiritualità, sporcizia, profumi, grigiore e colori sgargianti, un mondo che ti mette a disagio e ti rilassa allo stesso tempo.
In tutta sincerità eravamo intimoriti dall’India prima di arrivarci, ma una volta dentro ci siamo fatti travolgere dalla sua energia e abbiamo provato a coglierne il meglio. Qualche settimana fa eravamo in Ladakh, una perla tibetana in territorio indiano, un posto magico che regala grandi emozioni a tutti i viaggiatori che ci mettono piede e nel quale abbiamo stabilito una grande amicizia con alcuni suoi abitanti.

Costretti dall’inverno incalzante a muoverci verso sud siamo stati nella caotica Delhi, prima di passare una settimana in Rajasthan ed arrivare finalmente, dopo ben 36500km di viaggio, al mare tropicale di Goa, dove abbiamo deciso di passare i prossimi mesi rilassandoci, lavorando dove possibile ed organizzando le tappe per il 2018.
Ora la moto si merita una bella ripulita generale, un tagliando completo, una frizione nuova (siamo prossimi ai 90000km registrati), gomme nuove e un po’ di meritato riposo…

Questo viaggio, questa scelta di vita, si sta rivelando una cura alla follia cui la classica vita occidentale ci aveva naturalmente portato. Non so dove andremo a finire e non mi interessa saperlo, lo scopriremo a tempo debito. Ora ci godiamo i tropici, restiamo con lo sguardo rivolto ad est, il sorriso stampato sul volto e l’immaginazione oltre l’orizzonte.