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Sud America

Viaggio in moto in Sud America

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Ruta hacia el fin del mundo è figlio delle suggestioni di aria, sabbia e stelle e dalla voglia di viaggiare di 6 ragazzi che tornando da un raid nel deserto tunisino, hanno deciso di raggiungere la Fin del Mundo. L’idea era di partire dalla Bolivia, passando per Perù e Cile, attraversando l’Argentina, fino ad arrivare all’estremo sud, Ushuaia.

Il mezzo di trasporto era fin troppo scontato: la moto. Non una moto qualsiasi, non una moto senza anima da prendere in affitto e spremere per migliaia di Km ma usare la propria moto, la Triumph Bonneville. Quella inadatta ad arrivare all’Isola di Man per assistere al Tourist Trophy e sempre quella inadatta a fare sterrati e superare dune di 4 metri nel Sahara tunisino; sarà inadatta anche a percorrere quasi 10000 Km su e giù per il sud America, attraverso le sconfinate distese patagoniche, tra l’asfalto ed il rìpio (strada sterrata) della Ruta 40, fino all’estremità abitata più a sud del pianeta. Il sogno di percorrere le strade del Sud America tutti assieme svanisce col il tempo; per diversi motivi tutti i partecipanti mollano il progetto, tranne me. Spinto da motivazioni incrollabili e molto personali decido di partire da solo, modificando il percorso, non senza incertezze e paure di varia natura. Non c’è tempo di pensare, bisogna dedicarsi alla spedizione della moto, ai documenti, al bagaglio ed a tutte le difficoltà organizzative. La spedizione è stata abbastanza complicata ma alla fine sono riuscito a trovare uno spedizioniere serio (Cuttica ed il sig. Elmo, nda) ed in poco tempo a far prendere il volo alla moto alla volta di Santiago del Cile.

La mia partenza è fissata per il 16 Dicembre. Più di 12 ore tra volo e scali e finalmente si arriva a Santiago, dove viene a prendermi Juan Carlos Salinas il despaciantes, che mi aiuterà a sdoganare la moto a tempo di record. All’alba del 18 Dicembre è tutto pronto per partire sul serio, dopo un rapido controllo alla moto nella concessionaria Triumph di Santiago, miracolosamente trovata senza mappa o altri supporti; acquisterò una carta stradale qualche giorno dopo, il navigatore satellitare è invece rimasto a Ceccano. Tutte le paure e le ansie svaniscono all’innesco della prima marcia: ora si parte davvero! Il primo giorno da Santiago a La Serena è stato di rodaggio, circa 500 km verso nord su un asfalto compatto, per provare l’affiatamento tra moto e pilota, già ampiamente consolidato; ma ogni partita ha una propria storia ed in questo caso è ancora tutta da giocare. Subito fuori Santiago il paesaggio è affascinante, con montagne rocciose insistenti sulla strada; da metà in poi invece la strada è a ridosso del mare ed il vento increspa violentemente l’oceano Pacifico mettendo in risalto la bellezza di quelle coste. In serata arrivo a La Serena, rinomata località balneare famosa anche per essere la seconda città più antica del Cile: l’indomani ci sarebbe stato il vero battesimo del viaggio.

Il secondo giorno prevede circa 350 Km di cui circa 250 di rìpio, con un’altitudine massima di 4779 m al Paso de Agua Negra: è la tappa che ci lancia definitivamente dentro il viaggio. La strada inizia con un facile asfalto per poi diventare uno sterrato complicato sia per il fondo morbido, sia per la presenza di persone che lavorano alla costruzione del nuovo percorso. Passata la dogana Cilena non si incontra quasi più nessuno; nonostante il passo sia l’unico valico di confine in quella zona, non è molto trafficato anche per la pericolosità della strada. Per la guida, la regola è una sola: dare gas! Determinante è stata l’esperienza del deserto tunisino. La strada scivola con molto piacere, gomme nuove, moto a posto e pilota carico, fanno dello sterrato un’esperienza di guida unica anche per il paesaggio ed i suoi mutevoli colori. Non solo montagne color ruggine, zolfo e verde pastello, ma anche corsi d’acqua e laghetti di primordiale bellezza; è un posto incantato che non vuole ospiti ma che tuttavia si lascia attraversare rendendo agli occhi del viaggiatore uno spettacolo unico, di una natura arida ma, a modo suo, presente. 

Oltre i 3000 il vento inizia a diventare forte ed iniziano a delinearsi dislivelli molto elevati e terrificanti, senza alcuna protezione sul lato scoperto. Si sale sempre più in alto con la preoccupazione di sbagliare strada e di reagire male alla mancanza di ossigeno; fortunatamente i sintomi dell’altezza sono per lo più un senso di pesantezza generale. Si arriva a quota 4000 m, la testa inizia a diventare molto pesante ed il motore meno reattivo; senza cedere di un metro, non rinuncio a fare foto ai meravigliosi penitentes, banchi di neve in scioglimento sul ciglio della strada che prendono la forma di monaci erranti. Quota 4700 sembra non arrivare mai anche perché la segnaletica è davvero ridotta al minimo e la strada, se a questo punto può chiamarsi così, si fa molto più difficile; il fondo poco battuto la rende più soffice e non essendo molto trafficato nessuno si è speso troppo per migliorarla. Arriviamo a quota 4700 m, il Paso de Agua Negra è davanti a me. Arido e spoglio di ogni inutile ornamento, affascinante e magico. Il vento è freddo e molto forte, il sole brilla ma non è sufficiente a scaldarmi: un’emozione irripetibile; sarà il poco ossigeno o la solitudine, ma le emozioni di quei momenti sono uniche.

La discesa è dolce e lenta, mi godo questa piccola vittoria e accarezzo il serbatoio per ringraziarla e coccolarla e scarico la tensione accumulata. Il resto del tragitto si snoda docile e scendendo aumenta ossigeno e temperatura. Un rapido passaggio in dogana e sono a Pismanta, in Argentina. Al mattino seguente punto le ruote verso sud e finalmente trovo la Ruta 40 che mi farà compagnia per moltissimi kilometri. La strada è pavimentada ed inizialmente offre un percorso sinuoso con un asfalto decente ma sporcato dai detriti caduti dalle pareti rocciose; passate le montagne il paesaggio diventa arido, stepposo e la strada dritta, ma non ancora infinitamente dritta. Mendoza è la prima grande città; a dispetto del deserto da cui è circondata ha una vegetazione molto rigogliosa. Molti mi dicono che è pericolosa ed a testimoniarlo sono le recinzioni, quasi da bunker, degli abitati lungo la strada; mi ci vuole parecchio per trovare un alberghetto con parcheggio interno protetto, non posso certo permettermi di restare senza destriero.

Uscendo da Mendoza, per i giorni seguenti, il mantra è sempre il medesimo, strade di rado curvose e più spesso infinitamente dritte, paesaggi aridi, calcolo approssimativo dei km da percorrere tra un benzinaio e l’altro, temperature altalenanti, moto veloce ed affidabile. A tutto questo si aggiunge un elemento che non mi abbandonerà fino ad Ushuaia: il vento. In queste zone soffia costantemente e non incontrando ostacoli può liberarsi e sferzare qualsiasi cosa incroci la sua rotta; ancora siamo lontani dai potenti venti del sud ma inizio a familiarizzare ed a capire come comportarmi per restare saldo in sella.
Prima di arrivare a San Carlos Bariloche percorro il Camino de los siete lagos, una strada che attraversa sette laghi da San Martin de los Andes fino a Villa la Angostura; asfalto buono, curve magnifiche e panorami di rara bellezza. Siamo già in Patagonia, nella regione dei laghi e qui la natura offre il meglio di sé; per il resto del viaggio non vedrò più una vegetazione così rigogliosa e colorata, un’esplosione di flora di ogni tipo immersa tra montagne frastagliate e laghi blu.

San Carlos Bariloche è una graziosa località rinomata per le stazioni sciistiche. Bariloche, per quanto graziosa, resta una meta molto turistica non in linea con il mio spirito, ma conserverò il bellissimo ricordo dei paesaggi, sia prima di arrivare sia dopo la città, dove si snoda un percorso di circa 40 km immerso tra vegetazione lussureggiante e laghi azzurri. Trascorro il Natale a cavallo tra Cile ed Argentina passando per il passo Futaleufù, con altri 200 km di sterrato tra parchi e montagne a circa 1000 m. Assistere al modo in cui in Cile rispettano e tutelano l’ambiente è stato impressionante: da buon rude biker, sporco di ogni cosa, con la moto rumorosa ed i bagagli disposti in modo simil-trafficante, alla dogana sono stato rimproverato duramente per non aver dichiarato il trasporto di un vasetto di miele (è vietatissimo introdurre in Cile qualsiasi tipo di alimento fresco).

Una Natività tutt’altro che rilassante, i primi km sono scivolati via senza particolari difficoltà, la moto ormai avvezza agli sterrati procede sicura; attraversata la zona dedicata al rafting, inizia il santo Natale. La pioggia è fitta e costante e la strada inizia a diventare una poltiglia di fango e pietre appuntite. Mi trovo sulla Ruta Nacional 7, la Carrettera Austral, ancora in fase di ammodernamento: in realtà questo tratto sembra alla sua prima costruzione, il fiume da una parte, la parete della montagna dall’altro che mi regala saltuariamente qualche pietrata. Svariati kilometri fatti in un delirio di segnali, buche, paletti ed attrezzature lasciate alla meno peggio in vista del Natale, prima di arrivare a Puyuhapi un piccolo centro abitato a sud di Puerto Monnt. Qui conosco Michael ed Hugo, due ragazzi di Bruxelles, che facevano il mio stesso tragitto con due moto cinesi (Motomel, 250 cc monocilindro, nda); si decide di partire assieme il giorno successivo.

Al mattino del 26 il tempo non è affatto migliorato. Si parte alla volta di Coyaique e le condizioni di guida diventano subito difficili. Quel tratto di Ruta 7 è work in progress, piena di fango, sassi e buche e la visibilità ridotta a causa della sporcizia che si deposita di continuo sulla mascherina: anche il giorno di Santo Stefano si prospetta lungo e difficile. Si torna sull’asfalto con due raggi posteriori rotti e, considerando le condizioni di guida, poteva starci, troverò il modo di sostituirli. Coyaique è una città molto grande; riesco a trovare un litro di olio, ma nessuno in grado di sostituire i raggi; inizio a preoccuparmi visto che dovrò affrontare altre strade impervie. Al momento non posso fare altro che bloccarli con due fascette cercando di non creare danni ai nipples, il ché vorrebbe dire dover montare le camere d’aria e, se dovesse accadere in mezzo al nulla, sarebbe un grande problema. Giro della città, cena, qualche birra artigianale patagonica ed il mattino seguente ci si saluta.

El Calafate è la meta da raggiungere; parto sereno e leggero, senza troppe preoccupazioni da rivolgere ai 300 km di cui 70 di ripìo, una tappa facile e riposante. Invece è stato tutto molto distante dalla semplicità, la ruta 40 è docile fino a che non si entra nel ripìo: fino ad oggi lo sterrato è stato impegnativo ma fattibile, ma i successivi 70 km cambieranno drasticamente le cose. Appena dentro mi rendo conto che per stare in piedi ci vuole un impegno sovrumano, la regola del dare gas vale sempre ma in questo caso è necessaria molta cautela: il fango e la terra asciutta si mescolano formando una massa consistente che si attacca dovunque, a tal punto da impedire alla ruota anteriore di girare. Per ovviare a questo inconveniente dovrò più tardi smontare il parafango anteriore. Questa tratto di ripìo è stato anche teatro di una caduta a causa del fango: nulla di grave sia per me che per la moto, solo qualche contusione e un po’ di spavento visto che ero nel bel mezzo del nulla. Prima o poi la Ruta 40 mi doveva battezzare.

El Calafate è una grande città a ridosso del ghiacciaio, arrivo con quattro raggi rotti per cui la priorità è trovare un meccanico e sostituirli; ho imparato che i raggi sono come le ciliegie: una tira l’altra. Trovo il meccanico che mi dà appuntamento nel pomeriggio, approfitto così per visitare la più grande meraviglia di questa zona: il ghiacciaio Perito Moreno. L’arrivo è indimenticabile: vedere da lontano la maestosità del ghiacciaio mi lascia senza fiato ed avvicinarmi conferma quanto la natura può essere grandiosa. Palazzi di ghiaccio alti 40-50 metri che improvvisamente crollano schiantandosi nelle acque del lago Argentino con un fragore potentissimo; poi improvvisamente la calma, accompagnata dal continuo scricchiolare del ghiaccio, mai stabile, finché non si aprono altre crepe nella massa bianca e si lascia cadere di nuovo tra le acque gelide del lago Argentino. È uno spettacolo dei sensi fermarsi sulle passerelle davanti alla parete di ghiaccio, ammirarne l’estensione, ascoltarne gli statici movimenti e quasi sentendone l’odore freddo. Il resto della giornata passa in officina a rimontare i raggi, che nel frattempo sono diventati 5; un ottimo lavoro, senza dover ricorrere all’uso della camera d’aria.

Il mattino seguente mi rimetto in marcia alla volta del confine con il Cile, Rio Turbìo e poi Puerto Natales. Nei pressi di Rio Turbìo lascio la Ruta 40; percorrendola ho aggiunto un significato alla parola “infinito”. Da oggi penserò anche a questa magnifica strada che sembra andare in ogni direzione: una retta perfetta che non inizia e non finisce mai. Saluto la lunga strada che da nord a sud taglia in due l’Argentina e mi dirigo verso la frontiera alla volta di Puerto Natales. Alloggio in un ostello e programmo la visita al Parco Naturale Torres del Paine per il giorno successivo; i km per visitare il parco naturale sono troppi senza una stazione di servizio e così mi trovo costretto a riempire di benzina delle bottiglie di plastica per un totale di 10 litri, stipati nelle borse laterali. Il parco è visitabile facendo un percorso interno variabile da 50 a 100 km circa; la strada è sterrata ma è impossibile farci caso quando si ammira una bellezza di questa dimensione, fatta di laghi colorati, torrenti limpidi, piccole cascate e maestose montagne (Cerro Castillo e Cuerno del Paine le più alte).

Rientro a Puerto Natales per dirigermi alla volta di Punta Arenas, la fin del mundo è molto vicina, mi trovo nella regione Magellano e cominciano a comparire cartelli stradali inneggianti all’estremo sud. I 250 km sembrano facili ma ora le condizioni climatiche peggiorano drasticamente. Fa molto più freddo ed il vento è molto più forte, guido con la moto sferzata ed inclinata lateralmente ad una andatura allegra ma ogni volta che incrocio un camion devo tenermi ben saldo al manubrio e tenere la testa bassa per non essere sballottato violentemente dal movimento d’aria. A Punta Arenas trovo un modesto albergo e cerco un posto dove cenare a fare un po’ di baldoria per la fine dell’anno. La colazione a base di succo d’arancia, nimesulide ed un paio di biscotti raffermi mi dà lo slancio per partire alla volta dello stretto di Magellano, per entrare finalmente nella Tierra del Fuego. Arrivare fin qui, in sella all’unica moto che ho sempre desiderato, mi inorgoglisce, e nel mare affondano tutte le vicende lasciate alle mie spalle, l’impresa sta per essere compiuta. Arrivo a Rio Grande nel tardo pomeriggio, avrei potuto fare i restanti 200 km per giungere in prima serata a Ushuaia ma le condizioni climatiche troppo avverse e l’orario, mi hanno fatto desistere.

Al mattino, mi preparo svolgendo le ormai rituali attività di carico ma con maggior cura e lentezza, per assaporare ancora una volta quel desiderio di arrivare ad Ushuaia; desiderio che sarebbe svanito una volta raggiunta la meta. Il leitmotiv non cambia: vento forte, freddo e pioggia torrenziale, dopo i primi 100 km mi fermo per fare un rifornimento. L’acqua concede una breve tregua ma le montagne che mi dividono da Ushuaia sono totalmente coperte. Procedo senza esitazioni, la pioggia inizia a fermarsi, supero la foresta ed il Paso Garibaldi e percorrendo ancora qualche kilometro raggiungo l’ingresso alla città di Ushuaia. È una delle emozioni più grandi che abbia mai provato. In un istante tutti i pensieri che dopo tanti km si sono annidati dentro al casco, sono scoppiati come tante bolle di sapone. Siamo arrivati alla fin del mundo!

Rido, piango e canto fino a raggiungere il centro, il vento questa volta mi accompagna ed il freddo è quasi impalpabile. Data astrale 2 Gennaio 2015, ore 13.48: Ushuaia! Raggiungo il luogo di culto dei motociclisti, il famoso cartello a ridosso del mare: “Ushuaia, el fin del mundo”. Fatte le rituali foto, scarico l’adrenalina e mi metto alla ricerca di un alloggio, gira voce che in alta stagione sia preferibile prenotare perché è sempre tutto pieno: nulla di più vero! La città che racchiude il pensiero dell’ultimo avamposto umano, dell’estremo sud, dei cacciatori di balene, degli esploratori e del penitenziario si trasforma in una località turistica con tanto di casinò, visite guidate in barca, escursioni, negozi di souvenir e locali alla moda. Alla fine ci siamo arrivati: quella che era una pazzia, un viaggio fortemente voluto, una meta assolutamente da raggiungere, si è trasformato nella magnifica realtà di superare i propri limiti e quelli della propria moto. Mi fermo un paio di giorni per riposare e visitare la città, ma non c’è molto tempo per trastullarsi, bisogna spedire la moto e ciò è possibile solamente da Buenos Aires che dista circa 3200 Km; decido di fermarmi prima a Mar del Plata, meravigliosa meta turistica a 400 km dalla capitale.

La parte Atlantica del sud argentino è poco interessante, quindi stoicamente decido di arrivare alle zone calde nel minor tempo possibile; in due giorni e mezzo percorro circa 2800 Km con la gomma posteriore finita, concedendomi una sosta con tenda e sacco a pelo nel bel mezzo del nulla in un punto qualsiasi della Pampa. Arrivo a Mar de Plata, mi concedo 2 giorni di assoluto relax tra Oceano e divertimenti vacanzieri. Finito il relax parto per Buenos Aires, una città magnifica che deteneva il record della strada più larga del mondo, la 9 de Julio che da 16 corsie è stata passata a 12, un caos pazzesco. Lascio la moto al concessionario Triumph che mi fornisce il fondamentale supporto per la spedizione; i 6 giorni nella capitale trascorrono tra le attrattive diurne ed i divertimenti notturni, sciupati con persone conosciute in loco e le pratiche per la spedizione della moto, fino al 14 gennaio, data del definitivo rientro. Curiosamente ed involontariamente il viaggio è partito dal concessionario Triumph di Santiago del Cile ed è terminato in quello di Buenos Aires, così distante da casa avere un appoggio si è rivelato fondamentale.

Ripenso alla mia piccola impresa e resto dell’avviso che dovrebbe essere affrontata almeno una volta nella vita. Superare ogni ostacolo a mani nude ed in sella alla propria moto ricarica l’anima e le cambia tutti i punti di vista e ancora oggi mi sento pervaso dall’energia che mi ha spinto fino alla fine. Forse era questo, forse no… mangiare km come se non ci fosse un domani per arrivare più lontano possibile. TOTALE KM PERCORSI: 9651.

Colonna sonora

Durante il viaggio ho ascoltato musica negli hotel, per strada o canticchiando dentro al casco il primo motivo che mi veniva in mente, in modo del tutto casuale o viziato da qualche notizia che leggevo sul web, quando possibile. La track-list segue più o meno l’ordine temporale di ascolto:

  1. The passenger – Iggy Pop
  2. Leave the world Behind – Lune
  3. Balada para un loco – Roberto Goyeneche
  4. Unchain my heart – Joe Cocker
  5. Attaque 77 – Beatle
  6. I sat by the ocean – Queens of the stone age
  7. Caminando – Ciro
  8. (Sittin’ on) The dock of the bay – Otis Redding
  9. Moby Dick – Banco del Mutuo Soccorso
  10. Vasos Vacìos – Los Fabulosos Cadillacs
  11. Hound Dog – Elvis Presley
  12. Canzone di Natale – Zen Circus
  13. Estano de Bar – Memphis la Blusera
  14. Il tempo di morire – Lucio Battisti
  15. Lithium – Nirvana
  16. Despidiendo el sol – Los Siete Venas
  17. Santa Lucia – La Rata Blusera
  18. New Dawn – Mary’s Jail
  19. Je so pazz – Pino Daniele
  20. The rocket man – Elton John
  21. Salgo a Caminar – Antonio Birabent
  22. The winner lose – Body Count

Il protagonista

Salvatore D’Emilio, aka Mario il Pilota Giamboretti, aka The Doctor Sax

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